E(a)vesdropping...
Il vescovo Berkeley incontra Wittgenstein...a mad romp through philosophy.
Poesia di Wallace Stevens...uno che ti fa assaggiare il verde delle tende rosse di Caravaggio.
(we are such stuff...)
martedì 26 febbraio 2008
Step 5: Bishop's Night Move
giovedì 21 febbraio 2008
Un buon professionista ti dà problemi, per incominciare
Il cliente crede di andare dal professionista per avere soluzioni. Un cattivo professionista gliele dà, anche subito.
Un buon professionista, invece, gli dà solo problemi, all'inizio. Il professionista è colui che risolve problemi, un buon professionista risolve buoni problemi bene. E solo un buon professionista può darti problemi buoni.
Da un problema, bello e buono, escono le soluzioni in men che si dica, e saranno soluzioni belle e buone.
Almeno, è una condizione necessaria, se non sufficiente.
Per esempio. Il cliente tipo bussa alla porta e ti chiede una pensilina. Il cattivo professionista apre il suo catalogo, se ne sceglie una, magari una che ha sempre voluto fare, che ha visto in un sacco di riviste...e te la disegna, magari anche bene...ma non sarà un progetto. Al limite sarà un questionario.
Un buon professionista invece risponde con un problema: hai bisogno di riparare l'accesso dalla pioggia e dalla neve , ma non dal vento, e non dagli sguardi indiscreti (tanto meno dallo sguardo del sole...) Anzi, questa area è un dehors estivo; anzi, questo elemento è un elemento richiamo che serve. Inoltre hai bisogno di una zona gioco bimbi protetta ma visibile dal secondo piano ... ecc ecc.
Questo cliente è venuto da me chiedendo di rinfrescare e risistemare un soggiorno. Dove mettere il divano (pregiato), come rifoderarlo al limite...un rinfrescatina, insomma, lei è l'architetto, usi il suo estro!
Il mio approcio era quello di far raccontare, ed è emerso che lo spazio, molto ardito all'epoca di costruzione, sebbene completo e ricco spazialmente, non era rispondente alle esigenze "temporali". Si trattava, si, anche di adeguare uno spazio a svariate ed incompatibili funzioni che aveva acquisito attraverso la consuetudine (soggiorno intimo, ufficio notturno, salotto della domenica per la famiglia che si amplia, pranzo e caffé, ecc ecc), ma soprattutto di cogliere come queste funzioni erano articolate e distribuite nel tempo, e di gestire inevitabili sovrapposizioni temporali.
Cioé un progetto del tempo, non tanto dello spazio. Quindi interattività (e dunque gioco).
Il problema aveva una conditio risolutrice. Il cliente era un costruttore grande e capace: la casa era attempata nel linguaggio ma in perfetto ordine e come nuova. Si trattava di progettare il tutto senza opere edili, paradossalmente.
Per me andava bene, entrare ed uscire in punta di piedi, con una grande discrezione torinese. Understatement.
E grande rapidità. (Progettare pure il tempo di progetto...)
La soluzione è uscita in quattro quattr'otto. (ho messo tempo - troppo tempo - a presentare, perché collaudavo due nuove socie - che non hanno saputo fornire alcuna soluzione ne produrre disegni utili - ma all'epoca non avevo ancora aperto gli occhi, e adesso mi fanno causa accampando diritti - e io ho perso il cliente).
Si configurava come un gioco: erano tre gli elementi.
- il tappeto: significati: di qui e non la, soglia, passaggio. Usato in modo inconsueto e innovativo, come una pennellata, per compromettere il senso ordinario di uno spazio come una serie di strati (pavimento, parete, soffitto) E che tappetti!
- la tenda: significati: il termine minimo di divisorio, dentro/fuori, intimità/accoglienza, interattività architettonica. Coniugato con morbidezza, il gioco della luce, colore, tessitura, eventualmente anche suono.
- i mobili: significati: funzione, identità, lealtà. La disposizione dei mobili era plurima e variabile, perdendo la loro connotazione istituzionale per diventare elementi di gioco con gli altre tre elementi.
Il cliente è stato invitato a giocare col mischiare le schede, scegliende la configurazione più gradita. Dalla sovrapposizione degli acetati compariva la sigla della combinazione da realizzare.
mercoledì 20 febbraio 2008
martedì 19 febbraio 2008
Step 3: palazzo innevato
After Ulysses's boat, a classic problem of identity, and the introduction of the Pirate theme, through an exemplification of cultural piracy, (eCESSIvamente banale), a BAD reading of Nelson GOODman, poor chap.
The glyph on the right, which could be interpreted as being a stylised high-rise on a snowy field (thanks ballard) is a computer transcription (or reading) of a generic text. A model of interpretation, through a well-defined algorithm. To be noticed is the failure of a one-to-one mapping between the model and the object represented, between text and transcription. A model for criticism, therefore, but not only: there is also the concept of improper uses, second ends, the lability of the real, ecc ecc.
Extreme consequences.
l'architetto sfaccendato
Perché, insomma!, il teatro? Per una prospettiva storica, direi. Una volta l'architetto sfaccendato si dava a far scena progettando scenografie. Architettava, cioé, la rappresentazione. L'emblema era il teatro, e il teatro ha finito col calare il suo sipario sulla sua arte.
L'esercizio di teatro sotto, invece, prende qualche grado di distanza da tutto ciò, e si vuole un piccolo metatesto a metà fra testa e mano (o gambe all'aria che siano - e denti, mettiamoci pure i denti). Riguardare una storia personale per inscenare una fuga storica verso i nostri futuri passati.
E oggi? L'architetto sfaccendato architetta l'informazione.
(Sono sempre io che lo dico, o dicevo, non saprei oltre...è una brutta e infinita storia sfinente di specchi, che vi sto piano piano raccontando)
L'emblema dunque è la biblioteca, che è una tecnologia, per le quali la rappresentazione è un mezzo ma non una finalità...quante storie mitiche affollano e confondono la mente...ma resistete!, è solo un emblema.
Architettare il senso. E la logica, di cui si occuperà questa superficie semica per un bel po'...la logica, dicevo, è l'acciaio di questa architettura.
domenica 17 febbraio 2008
Origliare con l'orecchio sul cuscino
La conchiglia ripropone il disegno tipico, iconico del teatro. Ma vi sono differenze. Occhio e orecchio alle differenze....
Il corriodoio crea due zone distinte, entrambe incentrate sull'asse del cono che genera la platea. Eppure ci si accorge subito che questa relazione non è più univoca.
Le due zone, seppure entrambe incentrate su di un unico fuoco, hanno due percezione ben diverse e distinte. La zona a sinistra è raccolta in modo apparentemente canonico, ma volete causa la parete volete causa l'eccentricità del fuoco, è evidente che le condizioni di equilibrio drammatico sono del tutto mutate.
Il campo rappresentativo non è più solo profondo, ma anche lontano. La seconda zona presenta una esperienza del tutto diversa dalla prima. Questa zona è quasi parallela alla scena. Situazione che nel tipo originario "romano" non dava fastidio e non presentava alcuna problematicità, in quanto in quel tipo di teatro, la scena si "immetteva" nel pubblico.
Il nostro teatro, per contro, è a proscenio, quindi la situazione è sottilmente diversa.
Notate che si confronta direttamente con il lato corto del fondo scena. Ciò ci permette di organizzare la "azione della rappresentazione" in modo dinamico, giocando sullo spostamento dei punti di vista privilegiati, in modo che le due zono vedono spettacoli diversi e, addirittura, distinti.
Subito vengono in mente variazioni sul tema.
Se la platea fosse centrata su di un punto diverso da quello suggerito dallo spigolo del fondo scena? In questo caso, si avrebbe la situazione singolare che spettatori della stessa fila assisterebbero allo spettacolo da diverse altezze. E se le due zone avessero addirituttra due centri diversi?
Se le file delle poltrone fossero progettate da poter cambiare questi centri a secondo dei casi?
Ribadiamo che il disegno non è nato da considerazioni formali. Il gusto del taglio, del frammento....No. Notate che nel disegno iniziale l'incontro fra le file e la parete è ortogonale: esprime cioé non il desiderio di troncare, ma di escludere. Il disegno del taglio è nato da una riflessione sui diversi modi di vivere e di godere del teatro, da una ricerca sulle possibilità spaziali di una spazio di rappresentazione.
Tre dimensioni, dunque, non solo una pianta. Le nostre intenzioni sono da ricercare nelle sensazione che dovrebbe suscitare quel muro che come un enorme paraocchio cela una parte della scena dove pure si svolgerà parte dell'azione. Pensiamo al senso di capovolgimento percettivo,che nasce nell'assistere ad uno spettacolo accanto a questo piano, coricato su questo piano...
Uno spettacolo che magari non si vede per intero, che magari solo origliamo
...l'orecchio sul cuscino ad origliare sogni.
venerdì 15 febbraio 2008
Step 1: se non erro, se erre allora pi e qu
Daccapo. Ancor prima di considerare creativa la critica, occupiamoci delle sue vesti più mondane, consideriamo i suoi compiti più quotidiani, quelli che ci meravigliano e per cui proviamo sconforto qualora affrontati dalla loro crisi, la crisi della critica.
Sebbene della critica non sia chiaro quale compito sia principale, se conoscere o valutare...
si incomincia così, 30 schede per la libertà (arriba il don errante...)
mercoledì 13 febbraio 2008
daccapo (se il sangue non è acqua)
se il sangue non è acqua, allora bisogna mettere da parte l'ipocrisia e la comoda pigrizia e mettersi in gioco. Loro hanno osato, e hanno fatto bene. Bene ad osare e bene il progetto. Bando ai vigili, siamo vigili. Per vincere la pigrizia e il pudore piemontese, incomincio con un summa d'altri ieri. a presto, daccapo.